Musicaletter 12 (15/10/2019)
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A Shibuya (Tokyo) il bar dove si va ad ascoltare musica, non a rompere il cazzo agli altri. Altrimenti il padrone ti caccia. Malika Ayane, giudice di X-Factor, è stata offesa sui social perché ha fatto delle scelte tra i suoi cantanti. La pagina della Minnesota Historical Society ha pubblicato i documenti storici di First Avenue. Tra questi anche quelli della prima esibizione di Prince al First Avenue (allora si chiamava Sam's). Era il 9 marzo 1981 e in totale c'erano 1.510 persone (1.392 pagarono 6.5 dollari), i rimanenti 118 erano amici di Prince, della Warner o degli organizzatori. La Moog (al femminile) è la storica produttrice del Moog (al maschile), il sintetizzatore dai suoni pastosi, che segnò gli anni 70. Recentemente ha presentato il nuovo Moog One, con un video allucinogeno girato (anche) in super 8. Tra i protagonisti anche Suzanne Ciani, Chick Corea, Mark Ronson e Ryuichi Sakamoto. Dopo il tour dell'anno scorso di Beyoncé e Jay-Z, di cui ho parlato nella musicaletter 11, se dovessi tornare a vedere un concerto negli stadi andrei a vedere Taylor Swift che (pare) sarà in Europa la prossima estate. Thom Yorke sarà all'Ippodromo di Milano il 9 luglio 2020. In una delle precedenti musicaletter avevo parlato del plagio degli autori di Dark Horse (successo del 2013 di Katy Perry e del produttore Dr. Luke). Secondo l'accusa i due avrebbero preso spunto, ovvero plagiato un brano di rap "cristiano" del 2008 intitolato Joyful Noise di Flame (al secolo Marcus Gray). In sintesi, il problema è che non si giudicherebbe più la somiglianza del testo o della melodia, ma l'arrangiamento e il mood della canzone. Dopo il primo grado, dove Katy Perry (Capital Records e collaboratori) sono risultati colpevoli e dovrebbero sborsare 2,8 milioncini di dollari, ora si sarebbero appellati. Pure perché sarebbe un precedente pericoloso. Sempre in una precedente musicaletter avevo parlato dei nuovi equilibri mediatici. La fortuna dei canali di streaming sta preoccupando la vecchia, cattocomunista e noiosa televisione italiana (pubblica e privata). Mediaset aveva in mente un'aggregazione. Una rete televisiva europea. Anche CBS e Viacom stanno unendo le forze. L'obiettivo è combattere Netflix, Amazon Prime e Disney e la concorrenza degli Over The Top (o OTT) cioè Google, Facebook e così via. Disney+ oltre ai film Pixar, Guerre Stellari ha tutti i contenuti ex Fox acquistati da Sky. Ora sappiamo l'elenco preciso. Mentre Mediaset sta ancora litigando con Vivendi che vorrebbe annullare la delibera del CDA che aveva autorizzato la megafusione paneuropea. Ne sapremo qualcosa di più il 10 gennaio prossimo, anche se prevedo una strizzata d'occhio al potere italiano. Nel frattempo, Mediaset ha fatto un accordo con Netflix. Le due società produrranno 7 film di autori/registi italiani. I film saranno disponibili su Netfllix dall'anno prossimo e poi andranno sui canali classici Mediaset 12 mesi dopo.
Bob
Bob Lefsetz è tornato a parlare di Prince. Ma non solo. In un lungo articolo dedicato al business musicale e al rapporto tra i musicisti, aziende tecnologiche e i manager (tra parentesi alcuni chiarimenti).
Guardiamo le pagine finanziarie. Gli amministratori delegati delle aziende dello spettacolo fanno tanto quanto chiunque governi una società presente nell'elenco Fortune 500, (lista annuale pubblicata dalla rivista Fortune che classifica le 500 maggiori imprese societarie statunitensi misurate sulla base del loro fatturato) anche se le loro aziende spesso valgono meno e generano meno flussi di cassa. C'è un fattore di importanza personale a Hollywood ... questi signori, e sono principalmente uomini, controllano e guidano la cultura! È una posizione potente e credono di essere indispensabili. Ma non nel mondo della musica (dei vecchi tempi). La musica aveva poca attenzione perché era incontrollabile e imprevedibile. E dipendeva dagli artisti. Questa è una cosa che hanno fatto i Beatles e la classica rivoluzione rock: strappare il controllo dell'arte dai manager in giacca e cravatta e darla ai creatori. L'artista registrava ciò che voleva e controllava la copertina. L'etichetta aveva solo il diritto di venderla e commercializzarla.
Qualcosa è cambiato circa trenta anni fa. I manager in giacca e cravatta hanno preso il controllo degli affari. E non esiste un cosa più viva e credibile di un artista quando si tratti di creatività. L'artista ha l'idea, il manager in giacca e cravatta vuole modellarla alla sua visione. Per esempio, Tommy Mottola (ha guidato per quasi 15 anni la Sony Music fino quando Michael Jackson lo accusò di aver boicottato un suo album e di sfruttare i cantanti di colore per i propri sporchi fini. Mottola venne licenziato. E' anche noto mentore ed ex talent scout, collaborò con Mariah Carey, anche sua ex moglie, negli anni novanta); ha spremuto brillantemente Walter Yetnikoff (presidente della CBS Records International dal 1971 al 1975, dal 1975 al 1990 fu presidente e amministratore delegato della CBS Records. Nel 1988 fu lui che ideò la vendita della CBS Records alla Sony per creare la Sony Music Entertainment) ed è diventato un dirigente con uno stipendio altissimo, elegantemente vestito. Mottola osservò il paradigma di Charles Koppelman (manager della EMI con la quale Prince pubblicò Emancipation. Divenne poi consulente di Prince Estate. Dopo diverse diatribe, ora non lo è più) e poi iniettò steroidi, dopotutto, Sony, insieme a Warner Brothers, aveva i migliori cataloghi, i migliori artisti del settore.
A proposito della Warner Brothers, la principale lamentela di Prince con l'azienda era che non gli era permesso pubblicare ciò che voleva quando voleva. Il problema era che bisognava seguire il contratto, altrimenti la nuova musica avrebbe compromesso lo sfruttamento della versione precedente e bisognava vedere se la nuova musica fosse stata all'altezza della precedente.
Ora si scopre che Prince aveva ragione. Su molti livelli. Gli artisti in carriera non guardano più ai successi. Guardano al loro catalogo e al loro rapporto con i loro fan e i soldi veri vengono fatti nei concerti. La musica sopravvive, Prince è sopravvissuto a tutti quei manager in giacca e cravatta della Warner Brothers fino a quando non si è perso nel fentanil. Qui ci sono due questioni. Uno, cosa è più importante? l'artista o il manager in giacca e cravatta? e due: il business della musica non ottiene alcun rispetto? i profitti della etichetta musicale Warner hanno costruito il resto della rete Warner, una volta che si prende il via non ci vuole quasi nulla per continuare a raccoglierne i frutti, soprattutto nell'era dello streaming, dove non costa più nulla produrre e e distribuire.
L'unica cosa che è veramente importante sono i manager in giacca e cravatta, il modo in cui hanno tolto potere agli artisti e si sono ricompensati pesantemente e trasformati loro stessi in artisti. L'esempio peggiore è Clive Davis, che dà l'impressione che se non fosse per lui, il business della musica non esisterebbe. Ma la verità è che aveva un'influenza molto piccola, a differenza di Mottola o Mo.
Tutto stava andando a gonfie vele a Hollywood fino a Internet. E quando è arrivato Internet, cosa hanno fatto i titani di Hollywood? Distruggerlo, dire che avevano il diritto di controllare e raccogliere i frutti dei loro prodotti, portando alla fine della musica registrata e a metà delle sue entrate. Avrebbero potuto abbracciare Internet prima, ma avevano paura di perdere il loro compenso; niente è sacro come lo stipendio, i bonus e i ricavi di un dirigente dell'intrattenimento.
Ma negli ultimi vent'anni qualcosa è cambiato (...) Possiamo discutere fino a che punto Hollywood controlli la cultura, sicuramente meno di quanto abbia mai fatto nell'era dei social media e di YouTube, ma una cosa è certa (...) I dirigenti di Hollywood sono poveri rispetto ai vincitori della Silicon Valley, e 'sta cosa non va bene a loro. Quindi: ogni azienda ha istituito un fondo tecnologico, un incubatore; gli investimenti in tecnologia sono stati la via per la ricchezza. Ma è come chiedere a un musicista di suonare nell'NBA, non ne è capace: Universal Music ha venduto il famoso nome "Uber" per una miseria.
Ma non tutti sono stupidi a Hollywood. Uno dei più intelligenti è Ari Emanuel, insieme al suo connazionale Patrick Whitesell. A loro non importava che la Creative Artist Agency (agenzia di Los Angeles di artisti e talenti) chiedesse rispetto. Hanno formato la propria agenzia di talenti che alla fine si è fusa con William Morris e vanno alla grande. Ma non era abbastanza. Hanno visto cambiare il panorama. Hanno visto scomparire i grandi giorni di paga di Hollywood. Quindi cosa hanno fatto? Quello che hanno fatto le aziende tecnologiche, prendere soldi per crescere e incassare, alla grande. (...) Ora la domanda è: cosa è più importante: la distruzione o l'invidia? Cambiare il modello di business prima che crolli tutto o fare quei miliardi. (...) Certo che no, la distribuzione è il re, motivo per cui le società via cavo sono la zecca e il 5G genererà dollari. I dirigenti di Los Angeles hanno interpretato male la loro mano del poker, erano fuori dalle loro profondità, hanno parlato di disgregazione, ma in realtà si trattava di soldi. (...) Ma non abbiamo un nuovo Prince. E non abbiamo mai avuto dei nuovi Beatles, non parliamo di Bob Dylan. Gli agenti perdono di vista i loro affari.
E una cosa è certa, Wall Street conosce i suoi affari. Hanno imparato che spesso non c'è modo di fare soldi, e ora gli investitori stanno sfuggendo a coloro che vogliono diventare società per azioni. ripagare i loro investitori e arricchirsi. Ora questi investitori, queste società di private equity. Questa è la loro attività, pochissimi dei loro investimenti vanno nel panico, ne hanno solo bisogno per andare sul nucleare, quindi possono permettersi la perdita, non che ne siano contenti, ma non moriranno di fame, mentre Endeavour (altra agenzia) fa del male non solo a se stesso, ma all'intero settore dell'intrattenimento, ora quelli con denaro contante penseranno due volte non solo di investire in agenzie di talenti e anche di altre entità a Hollywood. E questo è abbastanza divertente, perché per decenni Hollywood ha fregato gli investitori esterni. Li lasciano venire sul set, fanno incontrare le stelle e gli investitori perdevano i loro soldi.Ma i film non sono più i re. E tutti hanno visto questo film. Sanno che può essere tutto fumo e specchi, vogliono indagare. E quando Endeavour decise di quotarsi, quelli con i soldi pensarono che sarebbero stati derubati, sovraccaricati per pochissime risorse, quindi dissero di no.
Stai dicendo no a Hollywood? Benvenuto nel nuovo mondo. Uno in cui Billy Joel non fa nemmeno più dischi, dove scrive il suo biglietto e ha salutato Hollywood molto tempo fa. E ora anche Wall Street.
The Master
Chris Moon è stato intervistato da Chris Williams. Abbiamo chiesto il permesso al giornalista e G ha tradotto in italiano l'intervista. Qui la prima parte.
IL MAESTRO By Chris Williams
Quando hai incontrato Prince la prima volta?
Chris Moon: Negli anni '70 avevo uno studio di registrazione a sud di Minneapolis. Si chiamava Moon Sound Studios. Sarebbe giusto dire che in città era l'unico studio che stava davvero facendo soprattutto Black music e R&B. Il motivo per il quale stavo facendo soprattutto R&B era perché era il tipo di musica che preferivo. Sono un britannico proveniente dall'Inghilterra, ma ero sempre stato attirato dalla gioia che portavano il R&B e la musica con radici Black rispetto a ogni altra cosa. Regalavo il 60% del mio tempo ai gruppi musicali locali. Così se ne trovavo alcuni che mi piacevano, li portavo nello studio e li registravo, producevo ed elaboravo tutto.
Per gli artisti non c'era alcun costo. Lo facevo perché una delle ragioni per le quali avevo uno studio di registrazione era che amavo la musica. La maggior parte della gente avvia gli studi di registrazione perché sta cercando di far soldi e ama la musica. [risate] A Minneapolis ero abbastanza conosciuto. Se eri un artista Black era lo studio dove andare. C'erano un paio di altri studi ma stavano facendo principalmente rock e country e cose del genere. Ogni tanto una band chiamata Champagne si prenotava nel mio studio per assemblare un nastro. In realtà era un lavoro a pagamento. Amministrava il gruppo la madre di uno dei membri della band perché erano tutti ragazzini di quindici, sedici e diciassette anni. Lei a volte prenotava con me per fare un nastro. Sicché registravano nello studio. Ogni giorno all'ora di pranzo la band faceva una pausa e andava da Baskin-Robbins dall'altra parte della strada a prendere un cono gelato, e io mangiavo il mio pranzo seduto nella sala controllo. Un giorno mentre ero seduto là mangiando il mio pranzo guardai verso lo studio e uno degli artisti era rimasto lì. Quello che era rimasto era Prince. Iniziò a suonare il pianoforte. Ho continuato a mangiare il mio panino, e qualche tempo dopo ho alzato gli occhi e lui era in fondo a suonare la chitarra. Alzai gli occhi un altro po' di tempo dopo e lui era laggiù a suonare la batteria. Alzai gli occhi ancora e lui era dall'altra parte suonando il basso. [risate] E dissi, " Interessante. Sembra che sappia suonare tutti gli strumenti." Infine mi son reso conto che fino ad allora dedicavo il mio tempo ad artisti e registravo altri musicisti. Avevo bisogno di registrare qualcosa del mio materiale. Ho scritto canzoni da quando avevo tredici anni o giù di lì, così avevo molte canzoni da mettere insieme. Volevo produrre la mia musica ma capivo che lavorare con le band era uno degli incubi della vita. Una delle...cose di cui ero diventato profondamente consapevole, con uno studio di registrazione, era l'incredibile fatica per ottenere l'impegno della band a presentarsi tutti nello stesso posto nello stesso momento e a farlo in maniera regolare.
Quindi ero là seduto pensando, "Bene, voglio registrare un po' del mio materiale, e non ho davvero intenzione di lavorare con una band, ma che altre possibilità ho?" E poi ho visto Prince che andava avanti e indietro per lo studio suonando svariati strumenti e ho pensato, "Potrebbe essere la soluzione al mio problema. Ora tutto ciò che devo fare è far si che venga un ragazzo. Se suonasse tutti gli strumenti, sarebbe fantastico." Così quel giorno alla fine della sessione andai dritto da lui. Lui ed io non ci eravamo scambiati più che un paio di frasi. Era incredibilmente timido. Intendo, non parlava proprio. Andai da lui e dissi, "Guarda, sto cercando di produrre del materiale originale. Vorrei farti diventare un artista. Creerò un nastro su di te. Farò un pacchetto e produrrò canzoni per te e ti insegnerò come registrare e produrre in studio e vedrò se posso farti diventare famoso. Cosa ne pensi?" Mi guardò e disse, "Sì!" Mi frugai in tasca e gli consegnai le chiave del mio studio di registrazione, che era tutto ciò che avevo nella vita visti i miei diciannove anni. Gli diedi le chiavi e mi guardò, e dissi a me stesso, "Hai appena dato le chiavi a questo ragazzino del nord di Minneapolis che non conosci neanche." Gli dissi, "Vediamoci qui domani dopo la scuola. Prendi l'autobus dopo la scuola. Starò lavorando. Ti lascerò due canzoni sul pianoforte. Prendi quella che preferisci e sviluppa la musica. Quando tornerò ti insegnerò come registrarla. Metteremo in piedi qualche canzone." E' così che iniziò.
Quando iniziasti a lavorare con lui come furono queste prime sedute di registrazione?
Moon: Certo, questo potrebbe essere abbastanza interessante perché è sorprendente come alcune persone reagiscono quando vengono a conoscenza di come Prince ha iniziato perché ho affemato che Prince è nato nel mio studio. Non ho sostenuto che l'ho creato io -ma ho detto che è nato nello studio. E dopo che avrai terminato questa intervista, penso che sarai d'accordo. Così venne da me -un timido, piccolo e silenzioso ragazzo di un metro e sessanta con una pettinatura afro dalla parte nord della città- e rimase nello studio e scelse uno dei due tipi di testi che avevo lasciato sul piano. Ci lavorò su e poi mi presentai. A quel tempo stavo lavorando presso un'agenzia pubblicitaria, quindi stavo imparando riguardo la promozione, la commercializzazione, le vendite e tutte queste cose. Arrivai allo studio e ci sedemmo, e lui come al solito suonò un po' di musica al pianoforte o chitarra. Poi iniziammo a cantare insieme i testi sinché trovammo la melodia. E quindi cominciammo a registrarla. Non era mai stato in uno studio di registrazione prima di allora e fu una cosa completamente nuova per lui. Iniziai insegnandogli come registrare le cose, come funzionavano le tracce, e come sovrapporle. Ce la siamo cavata con la costruzione della nostra prima canzone. Abbiamo trascorso un bel po' di tempo lavorandoci su. Poi trascorremmo un bel po' di tempo ad abituarlo allo studio e alla registrazione della musica di questa prima canzone. L'iter durò forse un mese, e giunse il momento di definire il cantato sulla nostra prima canzone.
Lui era in studio e io ero nella sala controllo. Indossava le cuffie. Iniziai a far andare la musica. Proveniva dalle cuffie. Vedevo che mentre la canzone stava andando le sue labbra si muovevano e guardai verso i miei misuratori e non si stavano muovendo, e non riuscivo a sentire niente. Ho pensato, "Va bene, ho un pessimo microfono o un pessimo cavo." Così andai nello studio, cambiai il microfono, tornai indietro, ancora niente. Va bene, senza dubbio era il cavo. Tornai indietro di nuovo e ancora nulla. Nel giro di dieci minuti o giù di lì verificai tutta l'attrezzatura perché lo vedevo cantare ma non rilevavo niente. Allora mi venne in mente, andai alla porta mentre il brano stava suonando e lo vidi cantare e infilai la mia testa nello studio e non riuscii a sentire niente. Andai da lui e lo fermai. Dissi, "Continua a cantare. Continua a cantare." E capii che stava cantando così piano che riuscivo a malapena a sentirlo.
Dissi, "Prince, Prince, Prince, non stai cantando abbastanza forte. Pensavo di avere un problema tecnico. Il problema è che ho bisogno di un po' di volume da parte tua, amico. Non riesco neanche a sentirti. Il microfono non riesce a percepirti." Avevo microfoni sensibili. Allora iniziammo questo processo per ottenere un suo canto a voce più alta. Non riusciva. Non so se fosse timidezza, timore o l'essere spaventato o cosa. Iniziai a guradare al suo profilo psicologico per capire meglio. Avevo un ragazzo nero di un metro e sessanta che aveva sempre desiderato essere un giocatore di basket. Quel sogno non si era avverato. Semplicemente non era accaduto. Avevo un tizio nero dai capelli afro che si chiamava Prince e che tutti a scuola chiamavano Principessa. Lo picchiavano perché era basso ed esile. Ora tirava fuori un canto con la voce di ragazza in falsetto. Quando iniziai a inquadrare tutto ciò iniziai a capire che il ragazzo stava affrontano problematiche di intimorimento esistenziale. Pensai, "Merda, qui ho un problema. Ho investito tanto tempo su un artista che ho scelto con le mie mani." Sapevo che poteva suonare tutti gli strumenti, ma non gli avevo mai fatto davvero un'audizione vocale. [risate] Pensavo che il mio piano perfetto avesse risolto tutti i miei problemi, evitando di cercare una band e cercando un artista valido che suonasse tutti gli strumenti. Pensavo che il mio piano perfetto fosse appena andato a gambe all'aria, perché avevo dimenticato di vedere se poteva davvero cantare le parole ed era stata la ragione per cui in primo luogo stavo facendo questo. [risate] Mi impegnai a cercare una soluzione al problema. Se questa fosse stata un'audizione e se nella realtà gli avessi fatto un'audizione non l'avrebbe passata. Ma siccome ero già in un percorso con lui cercai un modo per farlo funzionare. Tornammo avanti e indietro, e avanti e indietro per ore nello studio e niente che io potessi fare o dire lo aiutava a cantare un po' più forte. Semplicemente non accadeva. Più andavamo avanti più peggiorava, nei termini del suo sentirsi in colpa, intimorito e frustrato e timido. Le cose non stavano andando bene. Pensavo, "Qui mi serve un piccolo miracolo; perché in caso contrario le cose finiscono qui e ora e questa è tutta la strada di ritorno al punto di partenza. Ho un artista che penso possa funzionare. Stiamo sviluppando musica e facendo cose insieme e mi piace come sta andando, ma l'unico problema è che non riesco a convincerlo a cantare.
Così ci prendemmo una pausa e mi spremetti il cervello: "Cosa posso fare? Cosa posso fare? Cosa posso fare?" E alla fine mi è venuta l'idea di mettere un letto al centro dello studio. Io dormivo di sotto nel seminterrato del mio studio di registrazione. Andai giù e presi le mie coperte e i miei cuscini. Andai di sopra e preparai un letto nel centro dello studio di registrazione. Dissi, "Vieni qua. Stenditi. Ti coprirò con una coperta. Voglio che metti la testa sul cuscino. Voglio che ti rilassi davvero." Disse, "Ok, perché stai facendo questa cosa? Perché la fai?" Risposi, "Non preoccupartene. Fallo soltanto." L'ho steso e l'ho letteralmente messo su questo letto fatto da me, dentro lo studio di registrazione. Poi spensi tutte le luci dello studio. Presi il mio microfono più sensibile e lo misi il più vicino possibile alla sua bocca. Dissi, "Guarda, sei nascosto. Sei al sicuro. Sei al caldo. Le luci sono spente. Voglio solo che chiudi gli occhi. Rilassati. Voglio che immagini che sei nella tua stanza da solo di notte in casa e stai cantando una canzone ad alta voce e che non c'è nessuno e nessuno ti può sentire." Nel giro di qualche tempo, alla fine, persuasi la sua voce a uscire da lui.
(continua)
Ciao
Simone
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